Trattare la fibrillazione senza interazioni

Lina ha 83 anni.
Da 10 anni è vedova. Suo marito, un noto imprenditore locale, le ha lasciato una piccola fortuna, raccomandandole di utilizzarla per vivere al meglio gli ultimi anni della sua vita.
Lina lo ha preso in parola, utilizzandone una buona parte per farsi seguire privatamente dai migliori medici specialisti sul mercato.
Ogni anno fa un check-up completo che comprende una visita cardiologica, ortopedica, fisiatrica, neurologica e oculistica.
Lina infatti è affetta da glaucoma, osteoporosi iniziale, ipertensione arteriosa e una lieve sindrome ansiosa che si manifesta con extrasistolia.
Assume giornalmente un collirio a base di dorzolamide e timololo, atenololo 50mg, losartan 50mg e idroclorotiazide 12,5mg; una volta alla settimana alendronato 70mg; una volta al mese colecalciferolo 25.000.
Da alcuni giorni la nostra paziente avverte un incremento della frequenza delle extrasistoli che provocano anche una sensazione di fame d’aria, per cui si reca immediatamente dal cardiologo privato che riscontra una fibrillazione atriale.
Lo specialista aumenta il dosaggio di atenololo a 100mg e inserisce ASA 100mg, in attesa dei risultati degli esami ematochimici per valutare l’introduzione di un NAO.
Suggerisce inoltre di rivolgersi al medico di famiglia, dato che ora anche i MMG possono prescrivere questi farmaci.
Lina si rivolge dunque al suo medico di base per la ricetta degli esami e gli spiega quanto successo. Visti i valori, nella norma, il MMG decide di introdurre dabigatran a dosaggio ridotto per età, 110mg 2 volte al giorno.
Dopo qualche giorno, riceve una telefonata: la paziente chiede se deve proseguire la terapia anti-ipertensiva perché lamenta vertigini e la pressione risulta bassa.
Al medico viene un dubbio e chiede esattamente quali medicine stia assumendo la paziente, sospettando una interazione, poi confermata da ulteriori esami ematici. Quale?